Lo sport può creare speranza

dove prima c'era solo

disperazione. È più potente

dei governi per abbattere

le barriere del razzismo.

Lo sport è capace

di cambiare il mondo.

 Nelson Mandela

 

 

 Non crediate a quelli che

vi dicono che il mondo si

divide tra vincenti e

perdenti, perché il mondo

si divide soprattutto tra

brave e cattive persone,

questa è la divisione

più importante.

Poi tra le cattive persone

ci sono anche dei vincenti,

purtroppo, e tra le brave

persone, purtroppo, ci

sono anche dei perdenti.

 J. Velasco  

 

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LA PRIMAVERA DI PRAGA

     La Primavera di Praga identifica un rinnovamento politico e sociale avvenuto in Cecoslovacchia nel 1968. La Cecoslovacchia (attualmente divisa in due stati: la Repubblica Ceca e la Repubblica Slovacca) era un paese satellite sotto il controllo dell’Unione Sovietica, la sua classe dirigente era eletta secondo le indicazioni di Mosca e seguiva la politica del Partito Comunista Sovietico, sia per quanto riguardava le scelte di governo interne al Paese sia per quanto riguardava le decisioni di politica estera.

 

     La Primavera iniziò quando salì al potere Alexander Dubček, il 5 Gennaio 1968, sostituendo il presidente Antonín Novotný. Le riforme che promosse Dubček non erano rivoluzionarie ma andavano contro la visione sovietica di controllo, non solo dei mezzi di stampa, ma anche delle manifestazioni del libero pensiero. Il nuovo Presidente, infatti, cercò di favorire alcune richieste che provenivano dalla popolazione e in particolare da circoli di intellettuali che chiedevano maggiore libertà di stampa, maggior decentramento dei poteri amministrativi e la divisione della nazione in Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca. I dirigenti sovietici non videro queste riforme come un lento ma inevitabile cambiamento storico bensì come uno scollamento pericoloso e troppo radicale alla politica di allineamento decisa con il Patto di Varsavia.

 

     Negli anni ’60 la richiesta da parte di larghi strati dell’opinione pubblica cecoslovacca di riforme politiche ed economiche avevano iniziato a penetrare anche all’interno del Partito Comunista, ottenendo una risposta più forte di quello che il regime poteva immaginare. Rappresentante di tali richieste fu Alexander Dubček che ricopriva la carica di Primo segretario del Partito comunista regionale slovacco. Dubček sfidò apertamente il presidente Antonin Novotny che attraversava un periodo di governo molto difficile. La crisi economica aveva messo in seria difficoltà l’industria del paese e il piano di direzione sovietico non era in grado di risolvere i problemi strutturali della Cecoslovacchia. Inoltre la destalinizzazione operata da tutti i Paesi del Patto di Varsavia era avvenuta con un strana lentezza in Cecoslovacchia e aveva quindi aumentato il malcontento. 

 

     Il leader sovietico Leonid Breznev si rese conto che Novotny aveva un’opposizione troppo forte per poter essere sostenuto e inaspettatamente appoggiò Dubček. Quest’ultimo divenne Primo Segretario del Partito Comunista, il 5 gennaio 1968, mentre Novotny mantenne per pochi mesi la carica di Presidente del governo; e il 22 marzo venne sostituito da Ludvik Svoboda che appoggiò pienamente il suo segretario nelle riforme che quest’ultimo aveva proposto: maggior libertà di stampa e decentralizzazione dei poteri amministrativi statali. Tali riforme e l’ampio consenso che stavano ottenendo, non solo fra la popolazione e le classi sociali più agiate e istruite ma anche di riflesso in ampi strati dell’opinione pubblica occidentale, impensierirono i dirigenti del Partito Comunista Sovietico. Breznev e il suo staff non ritennero che la Cecoslovacchia stesse apportando modifiche radicali e contrarie all’ideologia comunista bensì si preoccuparono della tentazione che tali riforme potevano indurre sugli altri Paesi satelliti e sulla stessa popolazione cecoslovacca che avrebbe potuto chiederne altre e più profonde.

 

     Pertanto i dirigenti sovietici incontrarono Dubček in tre occasioni durante le quali non rimasero soddisfatti delle dichiarazioni e delle assicurazioni del Segretario. Dubček, infatti, riteneva che le sue riforme non fossero pericolose per il Patto di Varsavia che lui riteneva indispensabile e nei confronti dell’alleanza con l’URSS che non pensava di tradire. Il suo intento era quello di regolare in modo più aderente alle esigenze territoriali l’intervento statale nell’economia e di dare maggiore libertà alla stampa e attraverso quest’ultima di permettere a intellettuali e artisti di esprimersi al di là dell’opinione, spesso sterile, del partito.

 

     Dopo la Seconda Guerra Mondiale Stalin rivendicò il controllo degli Stati satelliti cioè di quei paesi dell’Europa in cui l’Armata Rossa era penetrata e aveva respinto i tedeschi. Tale pretesa portò alla Guerra Fredda cioè alla divisione dell’Europa in due blocchi, uno sotto l’influenza sovietica e l’altro sotto l’influenza dei governi americano e inglese. La stessa Berlino fu divisa in quattro zone di influenza controllate rispettivamente da Inghilterra, USA, Francia e URSS. In linea con questa situazione Brežnev ufficializzò la dottrina secondo la quale gli stati satelliti dovevano avere dei governi in linea con quello sovietico sia in politica estera che in politica interna. Pertanto ogni governo, benché eletto, doveva essere gradito al PCUS (Partito Comunista Sovietico).

 

     Il governo di Dubček fu considerato inizialmente vicino alla linea del Partito ma poi visto il tipo di opposizione che incarnava fu ostacolato diplomaticamente e in seguito militarmente. Brežnev ordinò l’invasione della Cecoslovacchia nella notte fra il 20 e il 21 agosto 1968. Furono inviati circa 600.000 soldati che conquistarono rapidamente tutto il Paese. Non vi furono opposizioni di sorta perché l’esercito era schierato a occidente, secondo gli ordini del Patto di Varsavia, per presidiare le frontiere con la Germania dell’Ovest mentre il Partito Comunista cecoslovacco non aveva alcuna forma di organizzazione militare. L’intervento armato avvenne mentre si teneva una riunione celebrativa del Partito Comunista Cecoslovacco il quale, per evitare lo scioglimento immediato, si riunì in un luogo segreto allo scopo di ufficializzare il programma riformatore. Tuttavia la presenza militare sovietica non aveva solo lo scopo di riportare indietro il Paese ma anche quella di costringerlo a subire l’umiliazione di una sua presenza costante e minacciosa a monito per gli altri Stati satelliti.

 

     Una volta controllato lo Stato cecoslovacco Mosca impose un proprio governo rappresentato da Gustav Husak che abolì tutte le riforme del suo predecessore. Le conseguenza dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia ebbero un impatto emotivo molto forte in seno ai Partiti Comunisti occidentali, i quali videro alcune personalità rinunciare alla tessera e disconoscere l’operato di Mosca. Le ambasciate e i governi occidentali protestarono in modo diverso gli uni dagli altri ma senza troppo vigore per non spaccare l’equilibrio della Guerra Fredda che era basato sulla mancanza di reciproci palesi interventi sulle politiche dei due schieramenti.