Lo sport può creare speranza

dove prima c'era solo

disperazione. È più potente

dei governi per abbattere

le barriere del razzismo.

Lo sport è capace

di cambiare il mondo.

 Nelson Mandela

 

 

 Non crediate a quelli che

vi dicono che il mondo si

divide tra vincenti e

perdenti, perché il mondo

si divide soprattutto tra

brave e cattive persone,

questa è la divisione

più importante.

Poi tra le cattive persone

ci sono anche dei vincenti,

purtroppo, e tra le brave

persone, purtroppo, ci

sono anche dei perdenti.

 J. Velasco  

 

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la MUSICA AFROAMERICANA

     Il punto di partenza della musica Afro-Americana, comunemente definita “Jazz” (termine di origine sconosciuta, probabilmente onomatopeico) può essere ricondotto probabilmente al 1442. In quell’anno, infatti, il navigatore portoghese Antam Gonsalvez portò a Lisbona dieci africani per “salvare le loro anime”.

 

     Il problema fu però che, anziché avere salvate le anime, i dieci malcapitati furono utilizzati come schiavi. Il traffico fu ripreso cinquant’anni dopo da Cristoforo Colombo, che spedì cinquecento indiani dall’America centrale in Spagna, proponendo di venderli nei mercati di Siviglia. Il commercio divenne floridissimo, favorito da navigatori, ammiragli, pirati e governanti: la regina Elisabetta I, il suo rivale Filippo II, Carlo V, Carlo II, il Sacro Romano Impero approfittarono di questo mezzo per accrescere le loro ricchezze, coadiuvati da corsari come Sir Francis Drake o John Paul Jones.

 

     Dopo che per secoli i vascelli di tutta Europa avevano trasportato carichi stipati di neri africani, uomini, donne e bambini per venderli, tra il 1802 e il 1820, praticamente tutti i paesi europei e gli Stati Uniti misero finalmente fuori legge il commercio di esseri umani. Purtroppo, però, il commercio legale fu sostituito da quello clandestino, che continuò almeno per tutto il sec. XIX.

 

     Queste considerazioni storiche ci possono aiutare a comprendere come la cultura di origine africana, pur se in condizioni drammatiche, ebbe modo di radicarsi nei secoli in tutte le Americhe, innestandosi nella formazione culturale di tipo europeo dominante in quei luoghi.  Avvenne così che, mentre i Puritani “purgavano” i madrigali italiani, olandesi e inglesi, e vietavano, distruggendoli, l’uso degli organi in chiesa per cancellare qualsiasi impronta “papista”, gli schiavi, nei momenti di riposo, o anche durante il lavoro, cantassero le loro melodie africane e utilizzassero recipienti di latta per simulare gli strumenti a percussione. Inoltre nelle chiese il canto dei salmi, privato dell’accompagnamento d’organo, era spesso supportato da trombe e tamburi. Al di fuori dell’ambiente religioso era la musica di origine irlandese a fare da sfondo, soprattutto nelle case di “divertimento” di ogni genere.

 

     Sintetizzando molto, possiamo dire che, negli Stati Uniti (tralasciando per il momento lo sviluppo della musica dell’America del Sud), si stabilizzarono due principali filoni: uno urbano e uno rurale. Nelle città prevalsero quei generi nei quali era più forte la componente strumentale, come il Ragtime o l’Honky Tonky, mentre nelle campagne erano dominanti i generi vocali, nei quali i testi cantati avevano la parte preponderante, come il Work song e il Blues.  Questi diversi generi erano affiancati dalla musica a sfondo religioso, come lo Spiritual e il Gospel. 

 

Sonny Boy Williamson: "Keep it to yourself" - 1963

Work Song

 

     La Work Song ha un’origine intuitiva, suggerita dal nome: si tratta di canti che venivano intonati durante il lavoro, come accennato prima, per svariati motivi. Siamo in presenza probabilmente della più antica forma musicale sviluppata dagli schiavi neri in terra americana, ancor prima dei canti a carattere religioso e spirituale.

 

Spiritual e Gospel

 

     Lo Spiritual nasce come canto religioso, con testi di ispirazione biblica rivendicanti la condizione di sofferenza dei neri, e fonde elementi tratti dalle tradizioni del cristianesimo con moduli ritmici di origine africana; molto presente l’aspetto responsoriale, con l’alternarsi di domanda-risposta tra solista e coro. Il Gospel, da God (Dio) e Spell (Nome, per estensione Parola), quindi Parola di Dio, ha un’origine analoga, ma usa frasi più brevi e più ritmiche, probabilmente derivate dalle consuetudini alle quali abbiamo accennato prima e che avevano preso piede nelle chiese in seguito ai divieti puritani.

 

Blues

 

     Il termine Blues deriva da un’espressione popolare, che indica un vago sentimento di malinconia, molto pessimistico e non supportato da una speranza di riscatto. Questo va in contrasto con la concezione religiosa, nella quale invece si spera in una vita migliore, che troviamo nello Spiritual e nel Gospel. Il Blues si pone quindi in una posizione ambigua tra i canti religiosi e quelli profani, e la sua ambiguità (e il suo fascino) ha anche un carattere strettamente musicale; esso infatti usa sistemi musicali di tipo africano (in particolare le scale pentatoniche) miscelati con il linguaggio musicale europeo, generando uno stile totalmente nuovo che ha attratto molti compositori del ‘900.

 

Minstrel Show

 

     I Minstrel Show (o Minstrelsy) erano spettacoli, molto in voga negli Stati Uniti nel secolo XIX, costituiti da sketch comici, varietà, danze e musica interpretati da attori bianchi con la faccia dipinta di nero. Essi mettevano alla berlina i neri africani, rappresentandoli in maniera quasi sempre offensiva: ignoranti, pigri, superstiziosi e con un grottesco e caricaturale amore per la musica. Ma, nonostante i suoi connotati fortemente razzisti, ilMinstrel Show stimolò per la prima volta l’interesse dei bianchi nei confronti della cultura e delle tradizioni afroamericane.

 

Ragtime, Honky-Tonky, Boogie Woogie

 

     Il Ragtime (lett. tempo strappato, quindi sincopato) nasce come musica prevalentemente pianistica, e ha come principale caratteristica quella di miscelare un tempo tipicamente di marcia (affidato alla mano sinistra) con figurazioni “sincopate” di netta discendenza africana (alla mano destra). Il risultato è un effetto totalmente nuovo, elettrizzante e scoppiettante. Il suo principale esponente fu Scott Joplin (1867-1917), pianista e compositore texano che configurò in maniera definitiva questo stile. Dal Ragtime derivarono altri generi pianistici come l’Honky tonky, (dal nome che veniva dato alle fabbriche abusive di alcolici durante il proibizionismo) e il Boogie Woogie (nome di origine incerta); quest’ultimo utilizza la struttura musicale del Blues con un tipico accompagnamento ritmico alla mano sinistra, ed ebbe grandi specialisti come Albert Ammons (1907-1949) e Pete Johnson (1904-1967). L’Honky tonky invece, noto anche per la caratteristica sonorità dei pianoforti verticali un po’ scordati forniti dai “locali” nei quali veniva suonato, si associa principalmente al nome di Meade “Lux” Lewis (1905-1964), autore del più famoso brano di questo genere, Honky tonky train blues.

 

Sister Rosetta Tharpe: "Didn't it rain" & "Trouble in mind" - 1964

IL JAZZ

 

New Orleans

 

     La storia del primo Jazz è spesso collegata a situazioni umane drammatiche e degradate; abbiamo visto come l’infelicità dei neri ridotti in schiavitù abbia costituito il terreno fertile per la nascita e lo sviluppo del Blues, e come alcuni generi pianistici, come il Ragtime o l’Honky tonky, crebbero negli ambienti delle case di tolleranza. Similmente, il famoso quartiere a luci rosse di New Orleans, Storyville, fu uno dei luoghi dal quale vennero fuori molti tra i più importanti musicisti del Jazz che prese proprio il nome della città di provenienza, New Orleans, appunto. In questo “humus”, oltre ai pianisti che suonavano prevalentemente in solo, si svilupparono i primi gruppi formati da più strumenti. Gli strumenti da banda, come cornette, trombe, clarinetti, basso tuba, vennero adattati al nuovo stile; il ritmo era fornito da set di tamburi, antenati dell’odierna batteria. Ma anche strumenti di origine “colta”, come il contrabbasso e il già presente pianoforte, erano spesso utilizzati.

 

     Ma i gruppi musicali del primo Jazz non erano relegati solo nel loro ghetto a luci rosse. Frequentemente suonavano anche per i matrimoni, le riunioni politiche o commerciali e a volte, come per esempio durante il carnevale o feste simili, suonavano in movimento, dando origine così alla tradizione della Marchin’ band, e invogliando il seguito, soprattutto di giovanissimi, a ballare. Un’usanza che ancora oggi è ricordata, e che ci colpisce per la sua natura quasi “tribale” e lontanissima dalle nostre consuetudini, è quella che riguarda l’accompagnamento dei funerali: uno dei brani più noti del jazz dell’epoca, basato su una struttura armonica popolare, cioè When the Saints go marchin’ in, con il suo spirito delicato e aggressivo insieme, nasceva appunto per condurre il defunto più vicino al suo Dio, tramite i “Saints” (Santi) “marchin’” (che marciano) verso il luogo dell’estremo riposo. Ma non appena la bara era interrata (naturalmente entro il recinto del cimitero riservato ai neri), la musica cambiava e, tornando in città, si scatenava un ballo a ritmo indiavolato che coinvolgeva gli abitanti di tutti i quartieri.

 

Billie Holiday: "Fine and mellow" - 1957

Espansione del Jazz

 

     Ma proprio nel pieno della vita del Jazz di New Orleans, nel 1917 (casualmente anche l’anno della morte di Scott Joplin), Storyville fu chiusa; il Ragtime e il New Orleans Jazz cominciarono a perdere i propri seguaci, e i musicisti si trovarono praticamente senza lavoro. Iniziò allora la diaspora lungo il fiume Mississippi: intere orchestre jazz abbandonarono New Orleans, spesso sui famosi showboat, battelli attrezzati per esibizioni teatrali o musicali, e raggiunsero St. Louis e Chicago, città che divennero di conseguenza determinanti per lo sviluppo della storia del Jazz. L’interesse per la “nuova musica” crebbe enormemente, e cominciò a delinearsi un fenomeno che ebbe dei cicli ricorrenti in tutta la storia del Jazz fino almeno agli anni ’60 del XX sec.: i musicisti bianchi cominciarono ad appropriarsi del linguaggio dei neri, “levigandolo” e “smussandolo” nei suoi aspetti più ruvidi, e “confezionando” un prodotto musicale che, esteticamente, assomigliava al modello di partenza, ma che perdeva molto della forza di impatto espressivo, culturale e sociale, di cui esso era carico. Uno dei primi esempi di tale fenomeno è il genere chiamato Dixieland. Quello che abbiamo detto, però, non vuol dire che i musicisti che lo praticavano non fossero di ottimo livello. Anzi, a volte, i generi “paralleli” bianchi espressero talenti di grandissimo interesse e spesso geniali, come vedremo più avanti.

 

     Da Chicago, nel decennio ’20-’30, venne l’apporto più importante per il futuro del Jazz, favorito anche dalle trasmissioni radiofoniche. Si vide il fiorire di orchestre, sia bianche che nere (più raramente miste) di altissimo livello, ma anche i generi pianistici di derivazione Ragtime come il Boogie-Woogie e l’Honky Tonky seguitarono ad avere un grande successo. Anche in questo caso si manifestò un fenomeno simile a quello del Dixieland: alcuni pianisti bianchi misero a punto un genere simile al Ragtime, ma molto più superficiale e leggero, che prese il nome di Novelty piano, e che suscitò l’interesse di molti editori musicali che avevano fiutato il “business”.

 

Charlie Parker & Dizzy Gillespie: "Hot house" - 1952

Be-Bop

 

     Abbiamo visto come, attraverso le grandi orchestre Swing, formate prevalentemente da musicisti bianchi (con alcune eccezioni), l’industria discografica e teatrale avesse tentato, spesso riuscendovi, di far dimenticare la gravissima crisi economica degli anni ’30 e, in seguito, le difficoltà e i disastri causati dalla 2ª Guerra Mondiale. Il linguaggio musicale di queste orchestre era molto “levigato” e soprattutto ballabile, favorendo così lo svago e il puro intrattenimento. Ma all’inizio degli anni ’40 una di queste formazioni, quella cioè diretta dal cantante (nero) Billy Eckstine, si distinse dalle altre: al suo interno, per volere del direttore, erano presenti molti dei solisti che, qualche anno dopo, avrebbero rivoluzionato il linguaggio jazz. Erano gli inventori di un nuovo stile musicale, basato su improvvisazioni in tempo molto veloce, con frasi nervose, armonicamente ardite e molto poco “orecchiabili”. La loro era una reazione alla “commercializzazione” del Jazz che, da musica che nasceva dalle viscere profonde, stava rapidamente diventando un “business” per le grandi case discografiche. Questo nuovo linguaggio prese il nome (di origine onomatopeica) di Be-Bop, e i nuovi solisti si chiamavano Fats NavarroDizzy GillespieSarah Vaughan, Miles DavisDexter Gordon e, soprattutto, Charlie ParkerJohn Coltrane e fantastiche cantanti e musiciste come Billie HolidayElla Fitzgerld e Nina Simone, in una straordinaria miscela di Jazz e Blues. 

 

     La rivoluzione del Be-Bop va al di là dell’aspetto puramente musicale: essa riflette la maturata consapevolezza politica e culturale dei neri d’America, ricollegandosi, da questo punto di vista, alle origini del Blues, con la differenza, però, di rimanere un linguaggio che volutamente escludeva chi non facesse parte del ristretto “club”. Una delle consuetudini più comuni dei musicisti Be-Bop era quella di utilizzare la struttura armonica di canzoni commerciali per costruirvi sopra linee melodiche complesse e contorte. Un altro aspetto musicale (che però riflette anche un elemento “sociale”) riguarda i ruoli dei vari strumenti musicali; finora gli strumenti “ritmici”, come pianoforte, contrabbasso e batteria avevano avuto prevalentemente una funzione di supporto, mentre adesso cominciano a “dialogare” maggiormente con gli altri, riflettendo una diversa “democrazia” musicale. A quasi settant’anni dal suo manifestarsi, si può dire che il fenomeno del Be-Bop ha dato una spinta in avanti al jazz che stava rischiando di mimetizzarsi in un linguaggio commerciale e indefinito, e ha influenzato il linguaggio dei decenni successivi.

 

Miles Davis & John Coltrane: "So what" - 1959

Anni ‘60

 

     Il periodo che va dalla fine degli anni ’50 alla prima metà dei ’70 del XX secolo è per la musica, e per l’arte in genere, particolarmente travagliato, denso e convulso. Il jazz risente fortemente di questi fermenti, e proprio in quell’epoca emergono musicisti e linguaggi tra i più diversi e articolati. Inoltre, le problematiche razziali, che fino ad allora avevano contribuito a una relativa separazione tra i jazzisti bianchi e quelli neri, diventano invece un elemento di unione e complicità, in un contesto in cui la musica assume anche un fortissimo e a volte violento ruolo di veicolo per la rivendicazione della dignità della popolazione afroamericana. Non si assiste più alla dicotomia tra i generi, finora “lanciati” dai neri e ripresi, spesso in chiave commerciale, dai bianchi, ma la collaborazione tra i diversi gruppi etnici diviene molto più frequente e comune, portando spesso a risultati particolarmente interessanti. D’altro canto, però, la ricerca e il recupero delle origini africane, da parte dei musicisti neri, diviene un’esigenza molto forte e urgente. 

 

     La forma di jazz forse più rappresentativa della seconda metà degli anni ’50 e dei ’60 è, probabilmente, l’Hard-Bop. Esso prende le mosse dal predecessore Be-Bop, affondando però più profondamente le radici nel Blues, che diviene un background costante, e dando ancora più ampio spazio all’improvvisazione e all’aspetto “energetico” della musica. La formazione strumentale prevalente, divenuta un po’ un simbolo dell’Hard-Bop, è il quintetto formato da Sax Tenore (a volte Contralto), Tromba, Pianoforte, Contrabbasso e Batteria. Tra gli esponenti più importanti i pianisti Horace Silver e Thelonious Sphere Monk , il saxofonista, flautista e clarinettista Eric Dolphy, il pianista Herbie Hancock, il saxofonista tenore Sonny Rollins, il batterista  Art Blakey. Ma il musicista “icona” dell’Hard-Bop, innovatore del linguaggio e della tecnica strumentale, è forse il saxofonista e compositore John Coltrane. L’impronta lasciata da Coltrane è indelebile e ha influenzato (e ancora oggi influenza) praticamente tutti gli stili successivi. Anche Miles Davis e Charlie Mingus si sono avvicinati in vario modo e in diversi periodi all’Hard-Bop, realizzando importanti e a volte storiche registrazioni. Verso l’inizio degli anni ’60 cominciò a diffondersi un genere, di netta impronta nera, molto legato all’aspetto della rivendicazione sociale e dell’impegno politico: il Free Jazz. Com’è facilmente intuibile, esso privilegiava soprattutto l’aspetto della libera improvvisazione, quindi di una composizione aleatoria ed estemporanea, intesa anche come “libertà” da schemi preordinati o imposti. Il suo principale esponente, che ne è anche uno degli iniziatori, è il saxofonista Ornette Coleman

 

     Da ricordare anche il trombettista  Don Cherry e il saxofonista Archie Shepp. Anche John Coltrane ed Eric Dolphy si dedicarono, negli ultimi anni, al Free Jazz.  Sempre in quest’epoca, grazie alle collaborazioni di alcuni jazzisti con musicisti brasiliani, si fanno avanti generi musicali fortemente legati alla musica di quel paese. Ecco quindi nascere la Bossa Nova (Nuova onda) e il Jazz Samba. I musicisti brasiliani più importanti di questi generi sono il pianista e compositore Antonio Carlos Jobim e il cantante e chitarrista João Gilberto che si avvalsero spesso della collaborazione del saxofonista Stan Getz.

 

Nina Simone: "Backlash Blues" - 1976

Contaminazioni

 

     Sul finire degli anni ’60 si fece strada una nuova e rivoluzionaria tendenza: l’uso di strumenti elettrici, elettronici e/o amplificati, fino ad allora riservati ad ambienti di estrazione Rock o Pop, anche nel Jazz. Naturalmente questa nuova consuetudine, che fece storcere il naso a molti “puristi”, generando delle vere e proprie fazioni opposte, influenzò anche il linguaggio che, contaminandosi così fortemente, prese il nome di “Jazz-Rock”. Tradizionalmente si fa risalire l’inizio dell’era del Jazz-Rock al 1969, anno in cui Miles Davis incise il doppio album Bitches brew e il chitarrista e compositore di origine siciliana Frank Zappa l’album Hot Rats. 

 

     In queste incisioni, realizzate da un jazzista che si avvicina al Rock (Davis), e da un musicista difficilmente inquadrabile ma certamente non un jazzista puro (Zappa) che si avvicina al Jazz, l’uso degli strumenti elettrici ed elettronici è vastissimo, e la commistione di musicisti provenienti da formazioni artistiche diverse creò un qualcosa fino ad allora mai sentito. Nel 1970 Frank Zappa incise Uncle Meat, contenente una sua composizione vicina alla musica d’avanguardia dell’epoca ma, soprattutto, una serie di fantasiosi brani di netta impronta jazzistica (King Kong) nei quali spicca il violino elettrico del grande violinista francese Jean-Luc Ponty. Oltre al violino elettrico di Ponty, che suona anche una viola a sei corde chiamata Violectra, nel gruppo sono presenti anche il pianoforte (suonato da George Duke) e il basso elettrico, i quali conferiscono a tutto l’album un sound molto particolare, pur affondando profondamente le radici nel jazz. 

 

     Uno dei gruppi più creativi e rappresentativi del Jazz-Rock anni ’70 fu senza dubbio quello chiamato Weather Report, fondato nel 1971 da due musicisti di provenienza Hard-bop: il pianista e tastierista austriaco  Joe Zawinul e il saxofonista americano Wayne Shorter. Weather report diverrà in breve tempo l’icona del Jazz-Rock e sarà uno dei gruppi più imitati per molti anni. Del gruppo fece parte lo strabiliante bassista elettrico Jaco Pastorius, il primo grande virtuoso di questo strumento. Altri importanti musicisti, rappresentativi di questo genere, furono il pianista e tastierista Chick Corea, l’altro grande pianista e tastierista Herbie Hancock, il batterista Billy Cobham, il chitarrista inglese John McLaughlin. Anche l’Italia ha avuto alcuni importanti gruppi di Jazz-Rock: ricordiamo soprattutto il gruppo Perigeo, attivo dal 1972 al 1980 circa, che aggiungeva un sapore mediterraneo e originale alle sonorità Jazz-Rock alle quali si rifaceva.

 

Frank Zappa & Jean-Luc Ponty: "Dupree's paradise" - 1973

Scena contemporanea

 

     Uno dei caratteri del Jazz di oggi è, probabilmente, il recupero del repertorio cosiddetto “standard”. Questo repertorio è formato principalmente dalle song (canzoni) scritte nel periodo che va dagli anni ’20 ai ’50 del XX secolo, e che erano destinate ai musical, alle colonne sonore cinematografiche o comunque all’ambito della commercial music. Tale materiale era stato utilizzato, come abbiamo visto, anche dai musicisti dell’era Be-bop ma, mentre questi tendevano a “stravolgerlo” e a renderlo non orecchiabile e anti-commerciale, i contemporanei hanno invece cercato di metterne in luce le qualità e le potenzialità musicali, facendone un campo di seminagione per nuove idee musicali. Nel 1983 un pianista americano, che per la verità aveva iniziato la carriera già negli anni ’60, segnò in modo indelebile l’interpretazione degli standard con due LP intitolati, appunto, Standards I e Standards II.

 

     Parliamo di Keith Jarrett, il quale realizzò queste storiche incisioni, seguite da molte altre sia in studio che dal vivo, in trio con il contrabbassista Gary Peacock e il batterista Jack DeJohnette. La novità della visione jarrettiana degli standard sta nel grande rispetto dello spirito originario dei brani unita però a una libertà e a una creatività probabilmente mai sentite fino ad allora in questo tipo di repertorio. Jarrett, inoltre, è un musicista di formazione completa, clavicembalista, compositore e rinomato interprete anche di musica classica. Le sue incisioni del Clavicembalo Ben Temperato di J. S. Bach e delle Suites per clavicembalo (eseguite al pianoforte) di G. F. Händel sono unanimemente considerate di altissimo pregio. È difficile immaginare quali strade possano aprirsi per il jazz in futuro; forse dovremo anche non distinguere più in maniera netta, come si è fatto finora, tra jazz e altri generi. È probabile che si affermeranno stili e tendenze nuove, derivate dalle inevitabili e proficue commistioni che, anche se non sempre nell’immediato, sono da sempre, e oggi più che mai, il terreno di coltura della creatività.

 

Uno degli ultimi esempi è stata la musicista e cantante britannica Amy Winehouse che ha restituito, dopo molti anni, quel sound autentico del jazz  mischiato ai più recenti stili musicali, un'artista musicale completa che purtroppo ci ha lasciati troppo presto.

 

Amy Winehouse: "Take the box" - 2004