Lo sport può creare speranza

dove prima c'era solo

disperazione. È più potente

dei governi per abbattere

le barriere del razzismo.

Lo sport è capace

di cambiare il mondo.

 Nelson Mandela

 

 

 Non crediate a quelli che

vi dicono che il mondo si

divide tra vincenti e

perdenti, perché il mondo

si divide soprattutto tra

brave e cattive persone,

questa è la divisione

più importante.

Poi tra le cattive persone

ci sono anche dei vincenti,

purtroppo, e tra le brave

persone, purtroppo, ci

sono anche dei perdenti.

 J. Velasco  

 

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il PARTIGIANO "MERCURIO"

     Ci sono a volte delle storie che, anche se dimenticate per decenni, non perdono la loro forza nel presente. Anzi, è proprio in questi tempi di razzismo dilagante che alcune vicende diventano non solo attuali, ma necessarie. È il caso di Giorgio Marincola, unico partigiano nero della Resistenza, riportato alla memoria dal bel libro di Carlo Costa e Lorenzo Teodonio  “Razza Partigiana, storia di Giorgio Marincola”.

 

     Giorgio nacque in Somalia nel 1923 da Giuseppe Marincola e da una donna somala, Aschirò Hassan. Il padre era un maresciallo maggiore di fanteria, originario di Pizzo Calabro distaccato con le truppe regie nel Paese del Corno d’Africa che dieci anni più tardi diverrà parte dell’Impero italiano in Africa Orientale. Giuseppe Marincola però, a differenza di molti altri italiani, riconobbe il figlio, a cui aveva dato il nome del nonno, e la sorellina, Isabella, nata due anni più tardi. Sono gli anni dell’ascesa del fascismo, della Marcia su Roma e della deriva razzista del regime di Benito Mussolini. Una dittatura che, alla fine degli anni ’30, proibirà il riconoscimento dei figli nati dalle unioni miste, affidandoli agli istituti missionari cattolici in un Paese musulmano. Giuseppe Marincola va oltre e porta con sé i figli in Italia nel 1926 risposandosi con la sorella di un suo commilitone sardo, Elvira Floris, che non accetterà mai questi figli "meticci". Isabella cresce a colpi di kurdash – il frustino dei tempi coloniali – e le viene detto che è scura perché «è nata a Mogadiscio e lì il sole è molto forte». 

 

     Giorgio Marincola, dopo aver passato l’infanzia in Calabria dal fratello del padre, frequenta il liceo “Umberto I” di Roma. È il 1938 e la retorica razzista – il Manifesto della Razza affermava che “il meticcio è un essere disambientato fra i bianchi come fra gli indigeni: è un ibrido, è un pericolo” – arriva anche nella scuola dove alcuni professori prendono di mira Giorgio per il colore della sua pelle. Ma in quel liceo insegna anche il prof. Pilo Albertelli, che Giorgio ha per due anni come docente di Storia e Filosofia. Albertelli porterà il suo antifascismo militante fra i banchi del liceo agendo, così come lo ricordano i suoi alunni, da «guida spirituale». Pilo Albertelli fu uno dei fondatori del Partito d’Azione, venne in seguito imprigionato e torturato dai fascisti nel carcere romano di Regina Coeli, e finirà fucilato dai nazisti alle Fosse Ardeatine il 24 Marzo del 1944. Ed è proprio lui che, dopo l’8 settembre del 1943, introdurrà Giorgio, adesso iscritto a medicina con il sogno di tornare un domani in Somalia dalla madre e per aiutare il proprio Paese, nelle file della Resistenza. 

 

     Roma è sotto occupazione nazista. Il re l’ha abbandonata e si forma il Comitato di Liberazione Nazionale. Giorgio Marincola entra nel Partito d’Azione e svolge attività di protezione armata degli scioperi e delle manifestazioni come quelle studentesche all’università. Il 1 Marzo del 1944 Albertelli è arrestato a causa di un delatore nei pressi della stazione ferroviaria di Termini. Giorgio scappa da Roma e si unisce ai partigiani in provincia di Viterbo. Il 16 aprile partecipa alla messa in ricordo di Pilo Albertelli, Gioacchino Gesmundo e Salvatore Canalis, i professori antifascisti uccisi alle Fosse Ardeatine. È un episodio di grande importanza nella storia della resistenza romana perché la cerimonia si svolse in pieno giorno, in pieno centro e con una partecipazione consistente. Uno dei momenti più alti della Resistenza con un’organizzazione di studenti e professori ed una risposta all’eccidio con comizi e volantinaggi nonché la reazione armata al primo accenno di intervento da parte dei fascisti. 

 

     A giugno di quello stesso anno Roma è liberata. L’ingresso degli Alleati e la fine della stagione della resistenza romana non fermano però Giorgio Marincola. «Volle dare di più» c’è scritto sulla motivazione della sua medaglia d’oro al valore. Giorgio è arruolato nei servizi segreti britannici. Addestrato al contro-spionaggio, viene paracadutato sui monti del Piemonte, in provincia di Biella. Con il nome di battaglia “Mercurio” entra nella missione “Bamon” partecipando ad azioni di sabotaggio contro autocolonne tedesche e contro le linee ferroviarie usate come rifornimento dai militari del Terzo Reich. 

 

     Nel gennaio del 1945, di ritorno da Milano, "Mercurio" viene arrestato durante un rastrellamento. Dopo l’arresto è portato presso il comando militare della polizia tedesca, un luogo di reclusione e tortura dell’occupazione nazista in Italia. Al piano superiore era stata installata una radio, Radio Baita, creata dai nazisti per trasmettere messaggi di propaganda anti-partigiana. Ai microfoni sono portati alcuni partigiani prigionieri costretti, sotto minaccia, a diffamare la Resistenza. Viene il turno di Giorgio. Racconta un suo compagno partigiano: «Una triste sera di gennaio la sua voce limpida, non emozionata, serena come la sua anima parlò ai biellesi, parlò soprattutto ai nostri cuori tristi, disinvolta, sicura. E le sue frasi non saranno dimenticate. Il suo spirito stupì tutti, la sua parola franca e mordace ci fece sorridere fra le lacrime che non sapemmo trattenere». Gli chiedono perché lui italo-somalo combatte con gli inglesi. Giorgio risponde pronto con voce ferma e calma: «Sento la patria come una cultura e un sentimento di libertà, non come un colore qualsiasi sulla carta geografica… La patria non è identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa libertà e giustizia per i popoli del mondo. Per questo combatto gli oppressori». La trasmissione viene interrotta con urla e rumori di percosse. Trasferito nella primavera del 1945 al lager di Bolzano, Marincola è destinato ai lavori forzati. Liberato il 30 Aprile, Giorgio decide però di continuare a resistere e si unisce ai partigiani in Val di Fiemme. 

 

     Nella notte fra il 4 ed il 5 Maggio 1945, l’avvocato Giuseppe Morandini, inviato dal Comitato di Liberazione Nazionale di Cavalese, assieme al fotografo Quirino March, ha il compito di documentare l’ultima strage nazista in territorio italiano. March scatta le foto dei cadaveri allineati contro il muro o bruciati nei roghi delle loro abitazioni. Uomini, donne e bambini uccisi a colpi di armi da fuoco o con le baionette. Autori del massacro una colonna di SS in ritirata da Lavis dove stavano giungendo i reparti americani: quarantatré morti e 28 case distrutte tra Molina e Stramentizzo. Fra i cadaveri quello di un ragazzo di poco più di 20 anni, una pallottola lo ha colpito alla schiena entrando sotto la scapola sinistra. È il partigiano “Mercurio”. La guerra era finita da due giorni.