Porrajmos, significa devastazione o grande divoramento. È il nome dato allo sterminio di un numero imprecisato di Rom e Sinti in Europa perpetrato dai nazisti.
Tra il 1939 e il 1945 vennero uccisi circa un milione di Zingari, vittime del nazionalsocialismo. La storia della deportazione e dello sterminio degli
Zingari è una storia dimenticata: ancora oggi la documentazione è frammentaria e lacunosa. Eppure la loro persecuzione in epoca nazista è l’unica,
oltre a quella ebraica, dettata da motivazioni esclusivamente razziali: proprio come gli Ebrei, infatti, gli Zingari furono perseguitati e uccisi in quanto considerati "razza inferiore". E anche
il regime fascista di Mussolini diede il suo contributo.
La persecuzione in Germania
All’epoca dell’avvento al potere del nazismo, un numero imprecisato di Zingari viveva in Germania. Di ceppo Sinti, la loro presenza risaliva al quindicesimo secolo. Organizzati in tribù si spostavano in carovane.Più tardi arrivarono i Rom, più portati a stabilirsi in residenze fisse e a lavorare nelle fabbriche come nei servizi pubblici, a frequentare le scuole e ad assolvere il servizio militare. Considerati comunque tutti "vagabondi", erano sottoposti, dopo l’emanazione delle Leggi di Norimberga, a sorveglianza della polizia, con un pesante inasprimento di numerosi provvedimenti precedenti alle nuove leggi naziste.L’inizio della degenerazione genocida per i Rom, è ufficialmente datato 14 luglio 1933, quando il nuovo consiglio di gabinetto, guidato da Adolf Hitler, varò il progetto di lotta ai Lebensunwertesleben, i cosiddetti “indegni di vivere”.
Nel 1936, in occasione delle Olimpiadi di Berlino, vetrina della grandezza e dello
splendore del nazismo, gli Zingari vennero rinchiusi in un apposito campo a Mahrzan. Nello stesso anno fu istituito a Berlino un “Istituto di igiene razziale e biologia etnica” che doveva
effettuare ricerche e stabilire l’esatta origine di questo popolo.
Quando apparve che gli unici, veri “ariani”, la "razza pura" così cara ai nazisti, erano invece gli Zingari, tutti i documenti dell’Istituto sparirono e lo stesso
venne chiuso.
Finita la guerra, il 20 ottobre 1945 iniziò il Processo di Norimberga: imputati i criminali di guerra nazisti. Un anno più tardi, nei dispositivi di sentenza, soltanto poche righe ricordavano lo sterminio del popolo zigano: “I gruppi di azione ricevettero l’ordine di fucilare gli Zingari. Non fu fornita nessuna spiegazione circa il motivo per cui questo popolo inoffensivo, che nel corso dei secoli ha donato al mondo, con musica e canti, tutta la sua ricchezza, dovesse essere braccato come un animale selvaggio. Pittoreschi, negli abiti e nelle usanze, essi hanno dato svago e divertimento alla società, l’hanno talvolta stancata con la loro indolenza. Ma nessuno mai li ha condannati come una minaccia mortale per la società organizzata, nessuno tranne il nazismo, che per bocca di Hitler, di Himmler, di Heydrich, ordinò la loro eliminazione”. In queste poche frasi della sentenza c’è tutta la povertà d’indagine, l’indifferenza e la superficialità con le quali il tentativo di genocidio zingaro è stato sbrigativamente ignorato non solo dai tribunali di guerra ma anche dalla stragrande maggioranza degli storici. Sicuramente ciò è dovuto, almeno parzialmente, al fatto che gli Zingari non ha mai avuto una Storia facilmente ricostruibile; di conseguenza anche le operazioni di sterminio che su di essi si abbatterono ebbero come unici riscontri o le testimonianze dirette o i pochi documenti nazisti che si salvarono dalla distruzione.
Quando oggi si disquisisce dell’ideologia nazista, e dei suoi tentativi di genocidio, si accentra l’attenzione sul massacro del popolo ebreo. E ciò è corretto se, oltre alla quantità numerica dello sterminio, si pensa a quanto furore, a quanta spietata volontà di morte, a quanta mostruosa sapienza tecnologica vennero impiegate dai tedeschi nella loro opera che colpì, primi fra tutti, proprio gli Ebrei. Ma la storia dell’eccidio degli Zingari dimostra la vera essenza dell’inenarrabile, della mostruosità ideologica, che sonnecchiava all’interno del mondo culturale e scientifico germanico, pronta a risvegliarsi e a trovare braccia e gambe che l’avrebbero fatta forte e portata lontano.
Benno Müller-Hill, Direttore dell’Istituto di Genetica all’Università di Colonia, ha ricostruito dall’interno, dal mondo degli antropologi, degli eugenisti e degli psichiatri,
il massacro razziale degli Zingari e delle altre etnie ritenute inferiori. Benno Müller-Hill, chiedendosi perché lo sterminio degli Zingari, degli
Ebrei e dei malati di mente fosse avvenuto proprio in Germania e non negli altri stati fascisti (se non per contagio), trova questa risposta: “La Germania
apparteneva ai paesi che erano guide mondiali nel campo della scienza e dell’industria. La psichiatria e l’antropologia erano ancora le migliori e le più sviluppate (...) Quando Hitler prese il
potere, psichiatri ed antropologi ne furono entusiasti, poiché vedevano in lui il realizzatore e il promotore delle loro idee”. Alla sua cronaca degli eventi, in relazione al primo periodo del
Novecento tedesco, mancano però un preambolo e una data importante: la Germania è sempre stata la nazione nella quale gli Zingari sono stati assoggettati, repressi o trucidati
più che in altre parti d’Europa e già nel 1899, a Monaco di Baviera, esisteva uno specifico Ufficio di Polizia che si occupava esclusivamente di loro e che poi si trasformò nella
Centrale Nazionale delle questioni zingare.
Durante l'epoca nazista, scienza e politica si
trovarono unite nel progetto di sterminio. Un progetto che, prima ancora che sugli Ebrei e sugli Zingari, si abbatté sui "diversi" della stessa razza tedesca: malati di
mente e disabili gravi furono uccisi a migliaia grazie ad apposite istruzioni su quello che Hitler chiamava “diritto all’eutanasia”.
Sugli Zingari, che non scatenavano nella borghesia nazista incubi di natura mistico-religiosa, né appetiti economici, né tanto meno fobie di tipo politico, si perpetrò l’accusa di costituire una razza, sì di origine indo-ariana, ma ormai impura e del tutto inutile e asociale. Gli studi del prof. Ritter e della sua assistente Eva Justin, dovevano dimostrare che i 30.000 Zingari tedeschi, dei quali solo 5.000 ancora nomadi, erano ormai divenuti un gruppo razziale “ibrido” e perciò destinato all’eliminazione. Eva Justin scriveva: “Gli Zingari si mescolano prevalentemente con vagabondi, asociali, criminali ed a causa di ciò si è prodotto un sottoproletariato di Zingari e vagabondi, che è costato allo Stato somme incalcolabili per l’assistenza. Come ulteriore risultato della ricerca, abbiamo osservato che gli Zingari sono del tutto primitivi dal punto di vista etnologico, ed il loro ritardo spirituale li rende incapaci all’adattamento sociale (...). La questione zingara potrà dunque considerarsi risolta, solo quando il grosso degli ibridi zingari, asociali e fannulloni, sarà riunito in grandi campi mobili di lavoro, e quando l’ulteriore aumento di questa popolazione mista sarà definitivamente impedito (...) ”. Già nel 1936, secondo Mirella Karpati, erano cominciate le misure di igiene razziale. Convogli di Zingari erano stati inviati nel campo di concentramento di Dachau: era già iniziata la soluzione finale.
Con l'inizio della guerra le deportazioni si fecero più massicce e, in ogni zona occupata dall’esercito tedesco, la sorte degli Zingari era segnata: o il campo di concentramento o la fucilazione sul posto.
Le deportazioni e lo sterminio
Quando la Germania, l’1 settembre 1939, aggredì la Polonia, le SS massacrarono intere popolazioni e moltissimi Zingari. Il 21 settembre dello stesso anno venne messo in atto un piano di deportazione di 30.000 Zingari dalla Germania in Polonia. Nell’aprile del 1940, 2.500 furono trasferiti nel ghetto di Lodz. Anche in Austria, Moravia e Slovacchia, come in Francia, Olanda, Belgio e Lussemburgo, nazioni occupate dalle armate naziste, gli Zigani vennero rastrellati ed inviati dapprima in appositi campi di lavoro e poi, dalla primavera del 1941 ad Auschwitz, ove nel marzo 1943, a Birkenau, venne istituito lo speciale settore a loro riservato, denominato Zigeunerlager (32 baracche). In questo lager nel lager, vennero imprigionate intere famiglie in attesa di essere sterminate nelle camere a gas. Nella primavera 1943 erano imprigionate non meno di 16.000. Nel settembre 1942, molti Zingari furono inviati dal ghetto di Varsavia a Treblinka, per esservi sterminati. Un intero trasporto, proveniente da Bialystock – 1.700 donne, bambini e uomini – fu totalmente eliminato all’arrivo ad Auschwitz-Birkenau, nel marzo 1943, senza che nemmeno uno di loro avesse avuto la possibilità di entrare nel campo. Il 16 maggio 1944, i nazisti tentano di liquidare lo Zigeunerlager, ma desistettero davanti alla rivolta disperata dei prigionieri. Tuttavia l’azione verrà di nuovo organizzata dalle SS nei primi giorni dell’agosto 1944 quando, in una sola notte, 2.897 Zingari, uomini donne e bambini, vennero eliminati nelle camere a gas di Birkenau.
Il numero esatto degli Zingari deceduti nel corso della Seconda Guerra probabilmente non si conoscerà mai, ma, cifre a parte (c’è chi ha parlato di 800.000 / 1.000.000 di morti), il piccolo popolo rischiò la definitiva scomparsa dal continente europeo. Nel corso della guerra diversi degli sfortunati che finirono nei campi di concentramento, prima di essere inviati alle camere a gas, vennero utilizzati per esperimenti scientifici di varia natura. Il famigerato dottor Mengele condusse numerosi ed atroci esperimenti sui bambini zigani che, al loro arrivo, provvedeva personalmente a selezionare come cavie sue preferite, in particolare per le sue efferate ricerche sul nanismo e su un tumore della pelle, causato dalla denutrizione e largamente presente trai bambini Rom del lager.
La persecuzione in Italia
In Italia, dove la presenza di Rom e Sinti era stimata, tra gli anni ’20 e ’30, in 25.000 persone, il fascismo sollevò la “questione degli zingari” e si richiamò ad argomentazioni “scientifico-culturali” di assolutamente improbabile serietà. Se nel 1938, nel “Saggio sulla storia e le origini degli zingari”, venivano definite le qualità psico-morali degli Zingari “mutazioni regressive” e si affermava che il prodotto di incroci tra Zingari e Italiani era da considerarsi “uno sfavorevole apporto razziale”, nel 1939, sulla rivista “Difesa della razza”, Guido Landra, uno dei firmatari del "Manifesto della razza", denunciava il pericolo rappresentato dagli Zingari, sottolineando l’esemplare atteggiamento tenuto dal governo tedesco nei loro confronti.
L’11 settembre 1940, il capo della polizia, Arturo Bocchini, emanò i primi provvedimenti di internamento, inviati ai Prefetti del Regno e al Questore di Roma. Ebbero così inizio i primi arresti. Gli Zingari rastrellati nel Ferrarese vennero concentrati nel comune di Berra, mentre quelli che vivevano nella provincia di Bolzano furono imprigionati. Per quelli presenti nei territori di Campobasso, il Prefetto locale fece presente l’opportunità di destinare al loro internamento il campo di concentramento di Boiano.
A Tossicia (Teramo) vennero deportate intere famiglie dalla Slovenia. In condizioni raccapriccianti vissero uomini, donne e
bambini. Nove ne nacquero durante la prigionia, condizione che durò fino al 26 settembre 1943, quando gli Zingari abbandonarono il campo e si rifugiarono nella zona di Bosco
Matese.
Durante il conflitto bellico, nei paesi dei Balcani occupati militarmente, le gerarchie militari italiane consegnarono ai fascisti croati ed ai nazisti i Rom che cadevano nelle mani dell’esercito.
Dopo l’8 settembre 1943 alcuni Zingari fuggiti dai campi italiani si unirono alle formazioni partigiane, partecipando alla Resistenza contro i nazifascisti. Tra loro Walter Catter, fucilato l’11 novembre 1944, il cugino Giuseppe Catter, fucilato a Colle San Bartolomeo (Imperia), Rubino Bonora, il rom istriano Giuseppe Levakovich, Amilcare Debar, staffetta e poi partigiano combattente nella 48° brigata Garibaldi e, dopo la guerra, rappresentante del suo popolo alle Nazioni Unite.
Con il termine ebraico Shoah, tempesta devastante, si suole indicare lo sterminio del popolo ebraico durante il Secondo conflitto mondiale, da parte dei nazisti.
Fra il 1939 e il 1945 circa 6 milioni di Ebrei vennero sistematicamente uccisi dai nazisti del Terzo Reich con l’obiettivo di creare un mondo più “puro” e “pulito”. Alla base dello sterminio vi fu un’ideologia razzista e specificamente antisemita che affondava le sue radici nel 19° sec. e che i nazisti, a partire dal libro Mein Kampf («La mia battaglia») di A. Hitler (1925), posero a fondamento del progetto di edificare un mondo “purificato” da tutto ciò che non fosse ariano.
La "soluzione finale"
Alla “soluzione finale” (così i nazisti chiamarono l’operazione di sterminio) si arrivò attraverso un processo di progressiva emarginazione degli Ebrei dalla società tedesca. Le leggi di Norimberga del 1935 legittimarono il boicottaggio economico e l’esclusione sociale dei cittadini ebrei; dal 1938, e in particolare dalla cosiddetta “notte dei cristalli” (tra l’8 e il 9 novembre 1938, quando in tutta la Germania le sinagoghe furono date alle fiamme e i negozi ebraici devastati) in poi, il processo di segregazione e repressione subì un’accelerazione che sfociò nella decisione, presa dai vertici nazisti nella Conferenza di Wannsee (gennaio 1942), di porre fine alla questione ebraica attraverso lo sterminio sistematico.
Lo sterminio partì dalla Germania, ma si espanse via via con le conquiste del Terzo Reich, colpendo gli Ebrei dei paesi occupati, vale a dire di quasi tutta Europa. Essi furono in una prima fase “ghettizzati”, cioè forzosamente concentrati in appositi quartieri delle città (il principale ghetto europeo, per estensione e numero di abitanti, fu quello di Varsavia), e in seguito deportati nei campi di concentramento e di sterminio, costruiti soprattutto in Europa orientale.
Ad Auschwitz, Treblinka, Dachau, Bergen Belsen, Mauthausen (ma furono decine e decine i campi disseminati in Europa, tasselli di un sistema pianificato nei minimi dettagli) giungevano ogni giorno convogli carichi di persone. Dopo la selezione iniziale, che “salvava” temporaneamente coloro che erano in grado di lavorare, una parte veniva inviata direttamente verso la meta cui tutti i deportati erano infine destinati: la camera a gas. I campi di sterminio erano anche luoghi di torture, di esperimenti pseudoscientifici su cavie umane (come quelli effettuati sui gemelli da J. Mengele), di lavori sfiancanti e selezioni quotidiane: di tali atrocità è rimasta testimonianza nelle memorie di coloro che riuscirono a sopravvivere.
In Italia
In Italia il regime fascista aveva emanato nel 1938 le leggi razziali che, tra l’altro, escludevano gli Ebrei dalle scuole, da molte professioni, dalla vita sociale. La deportazione e lo sterminio iniziarono dopo il settembre 1943 quando, in seguito al crollo del regime fascista e all’armistizio, i Tedeschi occuparono l’Italia settentrionale. Le autorità della Repubblica sociale italiana collaborarono alla deportazione. Uno dei primi episodi fu il rastrellamento del ghetto di Roma il 16 ottobre 1943, nel corso del quale furono catturate oltre 1000 persone. Il campo di Fossoli, in provincia di Modena, divenne il luogo di transito verso i campi dell’Europa orientale, in cui trovarono la morte circa 8000 Ebrei italiani.
Con l’intento di purificare la società tedesca e propagare l’ideale di razza Ariana, i nazisti condannarono gli omosessuali come "socialmente aberranti". Subito dopo essere stato eletto, nel 1933, Hitler mise fuori legge tutte le associazioni gay e lesbiche. Le truppe di Camicie Brune (SS), razziarono i luoghi di incontro e di socializzazione degli omosessuali. Stroncata e ridotta alla clandestinità, questa cultura era fiorita nella relativa libertà degli anni ‘20, nei pub e nei Café di Berlino, Amburgo, Monaco, Brema ed altre città tedesche.
Le radici dell’odio: il Paragrafo 175
Le origini del Paragrafo 175 del Codice Criminale del Reich sono da ricercare nella "Costitutio Criminali Carolina" promulgata dall’imperatore Carlo V nel 1532 la quale, all’articolo 116, recitava: "Quelle persone coinvolte in condotta lasciva, sia uomo con uomo, che donna con donna, perderanno la loro vita bruciando sul rogo". Nel 1871, dopo la proclamazione, da parte di Otto von Bismarck, del Secondo Reich, viene promulgata con il numero 175, ed estesa a tutto l’Impero Tedesco, una nuova normativa anti-omosessuale. In realtà l’applicazione del Paragrafo 175 è assai modesta e ripetutamente ne viene richiesta da più parti l’abrogazione, al punto che nel 1929 la Commissione Penale del Reichstag esprime parere favorevole alla soppressione della normativa anti-omosessuale. Nella primavera del 1935 la medesima Commissione esprime parere contrario alla richiesta fatta dal governo nazista, salito al potere nel 1933, di inasprimento del Paragrafo 175. Ciononostante, il 28 giugno 1935 Hitler promulga il Paragrafo 175a (detto anche "175 modificato") in base al quale tutto diviene perseguibile, persino l’espressione di un desiderio o di uno stato d’animo. Viene così attuata la cosiddetta repressione "delle fantasie sessuali" in base alla quale qualunque accenno verbale, o scritto, o disegno, che evochi un legame o un rapporto omosessuale, comporta l’internamento in un lager.
L’omosessualità nel pensiero nazista
I due scopi primari dell’ideologia nazista, mantenere la purezza della razza ed una crescita della popolazione che
assicurasse l’espansione del popolo germanico, non potevano essere raggiunti con la presenza di omosessuali maschi e femmine. Per i nazisti, l’unità all’interno del popolo non era
possibile con gli omosessuali, perciò le loro peculiarità andavano distrutte, cosicché la conformità del popolo potesse essere realizzata, a partire dalle origini. Non bisogna dimenticare poi che il Paragrafo 175 era stato "ereditato" dalla precedente legislazione, e che la polizia ordinaria e la polizia segreta di stato (Gestapo)
lo applicavano semplicemente in virtù della sua esistenza, per contrastare un comportamento considerato "criminale".
Nel 1933 la stretta del potere di Hitler fu una cesoia. Prima di ciò in Germania c’era un trend liberale, che si interruppe improvvisamente. L’odio dei
nazisti nei confronti degli omosessuali era risaputo, alla pari dell’antisemitismo. Molto presto i bar gay furono chiusi. Le organizzazioni di omosessuali si sciolsero volontariamente. Da subito
furono compiute razzie nei luoghi di aggregazione, ed i sospetti furono incarcerati, in qualche caso già nei primi campi di concentramento, dove gli omosessuali
furono tra i primi ad essere internati. Il numero dei procedimenti punitivi cresceva vistosamente. Le indagini diventarono più frequenti e gli
interrogatori più brutali quando erano condotti dalla polizia segreta di Stato che si sentiva votata all’ideologia nazista e combatteva in modo incredibilmente brutale tutto ciò
che era definito indesiderabile ("ausrotten", ovvero "annientare" era la terribile espressione, un’accezione usata generalmente quando si fa riferimento a dei parassiti).
La vita nei lager
Il risultato di questa odiosa politica è che ci sono stati tra i 10.000 e i 15.000 uomini con il triangolo rosa nei campi di concentramento. Questa cifra é stata confermata anche da successive ricerche e stime. Molte migliaia sono stati giudicati dalla giustizia penale e, come conseguenza, finirono nei “campi di lavoro”, che non si chiamavano “di sterminio”, ma che in realtà erano la stessa cosa. La ricerca, a questo riguardo, è ancora lungi dall’essere portata a termine.
Il destino degli uomini nei campi di concentramento era orrendo, in particolar modo quando portavano il triangolo rosa. Essi avevano un rischio di morte particolarmente alto se comparato con le altre categorie di internati. Le stime sono però piuttosto approssimative se si prendono in considerazione anche gli internati ebrei, gitani, polacchi e russi. In conseguenza di ciò si dovrebbe rinunciare a comparare fra loro i diversi collettivi dei perseguitati dal nazismo: ognuno ha avuto il proprio destino, e per ogni categoria di internati la persecuzione nazista ha rappresentato qualcosa di particolare.
Le lesbiche, ad esempio, non erano rappresentate da una vera e propria categoria all’interno dei lager; dal punto di vista numerico solo poche venivano internate ufficialmente come “lesbiche”, ma non per questo non soffrivano della minaccia e dell’ostilità nazista nei campi di concentramento. La loro sofferenza non era minore rispetto a quella degli omosessuali maschi, assumeva solo una forma diversa.
Vittime del nazismo e non solo
Il Terzo Reich ebbe fine nel maggio del 1945, anche se altri ricercatori hanno stabilito che per gli omosessuali il Terzo Reich non finì subito. Prima di tutto gli omosessuali provavano un forte senso di vergogna, che può essere paragonato allo stato d’animo di una donna quando deve denunciare alla polizia che è stata violentata. Da parte degli omosessuali c’è stato un vero e proprio silenzio collettivo. Molti degli ex-prigionieri omosessuali si sposarono dopo il 1946 a dimostrazione che, in questo caso, lo scopo della forzata "eterosessualizzazione" era comunque stato raggiunto.
Dopo la fine della guerra, i prigionieri omosessuali dei campi di concentramento non furono riconosciuti come vittime della persecuzione nazista e gli furono rifiutati gli indennizzi. Sotto il Governo Militare Alleato, alcuni omosessuali furono costretti a terminare il loro periodo di prigionia in carcere, nonostante il tempo trascorso nei campi di concentramento. La versione del 1935 del Paragrafo 175 rimase nella legislazione della Repubblica Federale Tedesca fino al 1969, quando fu riformato; a così tanti anni dalla liberazione, gli omosessuali subirono ancora arresti ed incarcerazioni. Il Paragrafo 175 Riformato, che conteneva unicamente la discriminazione sull’età del consenso (16 anni per partner eterosessuali e 18 per partner omosessuali), è stato abrogato nel 1994.
La ricerca sulle persecuzioni degli omosessuali da parte dei nazisti fu impedita dalla criminalizzazione e dalla stigmatizzazione degli omosessuali in Europa e negli Stati Uniti nei decenni che seguirono l’Olocausto. La maggior parte dei sopravvissuti avevano paura o vergogna a raccontare le loro storie. Recentemente, soprattutto in Germania, sono state pubblicate nuove ricerche su queste "vittime dimenticate", ed alcuni sopravvissuti hanno rotto il loro silenzio per testimoniare.
La punizione dell’omosessualità durante il periodo fascista
L’Italia di Mussolini escludeva dal codice fascista (Codice Rocco) qualsiasi traccia di omosessualità adducendo: "non c’è bisogno dell’articolo perché non abbiamo omosessuali". C’era quindi una negazione della differenza. Gli omosessuali non esistevano nella “virile Italia”, se caso mai comunque ne avessero trovato qualcuno, c’erano le forze di polizia che ci pensavano, ed è quello che in Italia verrà fatto. La repressione sotto il fascismo diventò attiva: senza bisogno di processi, a propria discrezione, la polizia poteva intimidire, picchiare, ammonire, diffidare o mandare al confino persone che presumibilmente “turbavano la moralità”.
Mentre il nazismo provava ad eliminare fisicamente gli omosessuali e i transessuali (uccidendoli o "curandoli" con i piú subdoli ed inefficaci esperimenti), il fascismo utilizzava il silenzio come arma efficace e sperimentata. Gli omosessuali tedeschi venivano eliminati dalla circolazione e uccisi, quelli italiani venivano fatti sparire in qualche isola remota per poi farli tornare e svergognarli di fronte ai propri concittadini notificandogli l’obbligo di firma per i motivi ormai noti a tutti. Molti omosessuali e transessuali italiani furono poi spediti ai lavori forzati in miniera a Carbonia (comune sardo creato durante la dittatura per dimostrare la laboriositá del popolo italiano), mentre altri vennero consegnati ai nazisti e deportati nei campi di sterminio.